“Il modo in cui lo spirito è unito al corpo non può essere compreso dall’uomo,
e tuttavia in questa unione consiste l’uomo.”
Sant’Agostino
Quest’anno ho assistito per la prima volta al trasporto della Macchina di Santa Rosa, a Viterbo e il giorno seguente ho pubblicato un post sulla mia pagina Facebook. Volevo trasmettere subito le sensazioni dell’esperienza appena vissuta, da cui deriva anche la scelta della frase con cui ho aperto l’articolo.
Santa Rosa e la macchina
Santa Rosa, patrona di Viterbo, visse nel XIII secolo. La famosa celebrazione del trasporto della macchina ricorre il 3 settembre di ogni anno, vigilia della festa. La traslazione del corpo della Santa dalla parrocchia di Santa Maria in Poggio al monastero delle Povere Dame di San Damiano fu il 4 settembre del 1258, per volere del papa Alessandro IV. Intorno alla breve vita della Santa, ma ancor di più dopo la sua morte, nacquero molte leggende e si narrano innumerevoli miracoli.
Il trasporto della Macchina di Santa Rosa è stato dichiarato patrimonio immateriale dell’Unesco. La festa culmina con il trasporto la sera del 3 settembre e ha una preparazione laboriosa. Ogni anno in molti lavorano per assemblare la macchina a Piazza San Sisto vicino a Porta Romana, da qui i facchini la portano lungo i vicoli di Viterbo, fino al santuario. Arrivato a destinazione il campanile (viene chiamato anche così) rimane esposto per qualche giorno, dando la possibilità a chi vuole di vederlo da vicino. E l’anno successivo il rituale comincia di nuovo.
Gloria, la macchina che dal 2015 porta più in alto dei tetti della città la statua della Santa, pesa circa cinque tonnellate e sfiora i 30 metri d’altezza. Come tutte le precedenti, viene portata a spalla dai facchini.
Chi (e quanti) sono i facchini di Santa Rosa?
Sono oltre cento uomini riuniti in sodalizio sin dal 1978, portano il titolo di Cavalieri di S. Rosa e vestono la tradizionale divisa bianca con fascia rossa alla vita. I facchini sono una squadra, una famiglia, ed è grazie a loro che ogni anno si ripete questo evento incredibile.
I ruoli ricoperti sono molti. Il capofacchino è quello nevralgico che organizza il trasporto, guida e sostiene tutti gli altri che trasportano la macchina: le guide (anteriori e posteriori), le spallette fisse (destre e sinistre), le stanghette (anteriori e posteriori), le spallette aggiuntive, e i ciuffi. Sono i ciuffi che hanno il ruolo più delicato, si mettono sotto la macchina portandone il peso sulla nuca, protetta dal caratteristico copricapo in cuoio (il ciuffo), e non vedono nulla durante il tragitto. Loro non hanno altra scelta che fidarsi e affidarsi agli altri, si tengono sottobraccio e avanzano.
Poi ci sono le leve, le corde, i cavalletti, i fotografi, i medici, gli infermieri e, ovviamente, il cappellano.
Sono una squadra, sono uniti e compatti, legati dalla fede, ma ancora di più dalla fiducia che nutrono reciprocamente. Affrontano uno sforzo enorme con la gioia e il sorriso, con la consapevolezza di essere al servizio di qualcosa più grande di loro, che solo grazie alla loro unione si realizza.
La festa: il Giro delle Sette chiese e il trasporto
La festa di Santa Rosa per i viterbesi è una giornata interminabile, faticosa e unica, carica di emozioni e speranza. Anticipano i rientri dalle ferie, posticipano gli impegni, in molti dormono a turno in strada per avere un posto lungo il percorso. Sì, perché fin quando la si vede in televisione non si capisce che tutto dura solo una frazione di secondo. I vicoli del borgo sono stretti e in molte zone non si può nemmeno sostare, accaparrarsi uno spazietto dove vedere la macchina che passa è difficile e, alla fine, è solo un attimo. Il trasporto è molto veloce e lo sforzo richiesto è enorme.
Le Sette Chiese
Poco dopo l’ora di pranzo i facchini di Santa Rosa, riuniti al Teatro dell’Unione, partono per il Giro delle Sette Chiese. Sfilano in corteo preceduti dalla banda, dai rappresentanti politici e delle amministrazioni locali, sostenuti dalle famiglie, gli amici, i cittadini. In ognuna delle chiese in cui si fermano pregano o cantano e ricevono benedizioni, insieme a tutti i fedeli e i curiosi che riempiono banchi e sagrati.
Al termine del giro, dopo essere usciti da Porta della Verità, proseguono fino al convento dei Cappuccini dove amici e parenti li attendono per festeggiare.
Come funziona il trasporto?
Dopo la festa, il riposo e il ristoro, i facchini si trovano di nuovo al santuario per fare all’inverso la strada su cui cammineranno per riportare la Santa a casa. La macchina viene accesa con luci elettriche e fiaccole e, poco prima di iniziare il trasporto, il vescovo impartisce l’articulo mortis, benedizione che protegge i facchini durante il tragitto. Presa la benedizione, il capofacchino coordina il gruppo così ognuno prende il proprio posto; la frase di incitamento più famosa è senza dubbio Semo tutti d’un sentimento?, ma quelle che danno il via al trasporto, in realtà, sono: Sollevate e fermi e Per Santa Rosa, avanti! Sentirle dà un brivido, ci si sente partecipi dell’impresa che questi uomini si apprestano a compiere. L’emozione raggiunge il culmine e tutto ha inizio.
I vicoli vengono illuminati solo dall’imponente campanile che sovrasta i palazzi. Io ho avuto la fortuna di assistere al passaggio dalle finestre del Palazzo della Provincia e vederla così da vicino, immensa, imponente e luminosa, è una sensazione che non si può tradurre in parole, posso dirvi solo che gli occhi diventano umidi.
Le soste della macchina
Da Porta Romana al santuario, un percorso di quasi un chilometro, ci sono soste indispensabili per recuperare le forze.
La prima è quella di Piazza Fontana Grande, in cima a Via Cavour e poi Piazza del Plebiscito. Qui i facchini fanno fare due rotazioni alla macchina prima di metterla sui cavalletti. Subito dopo c’è la fermata di Piazza delle Erbe, seguita da quella davanti la chiesa del Suffragio, infine c’è Piazza Verdi che si trova prima della salita al santuario. Da qui inizia l’ultimo sforzo, quello più grande, perché Via di Santa Rosa viene salita di corsa con l’aiuto di facchini che stanno davanti e tirano la struttura con delle corde.
Raggiunta la meta, tutto si fa più calmo, ma la felicità e la soddisfazione, miste alla fatica, sono stampate negli occhi e sui volti di tutti. Anche chi ha solo assistito si sente felice.
Ringraziamenti
Grazie a Yallers, per avermi chiesto di partecipare all’evento – per cui ho scritto un blogpost sull’evento –, e allo staff di Igers Viterbo. Grazie anche ai partner, chi ci ha sfamati e fatto riposare: l’Alimentari Fernando bottega storica nel borgo medievale e l’Hotel Salus Terme.
Plus
Nel video pubblicato da Visit Lazio al minuto 2:36:30 parlano di Yallers e ci sono anche le mie stories.
Sono felice, non serve chiederlo 😉
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