“Non tenere conto del presente è quasi una malattia, nella nostra cultura, e noi veniamo continuamente condizionati a sacrificarlo al futuro.
Con questo sistema, in conclusione, non solo evitiamo, adesso, ogni godimento, ma la facciamo finita per sempre con la felicità.”
Wayne Dyer
Non sappiamo godercela noi la felicità. Neanche quando la teniamo tra le mani. La stringiamo fino a soffocarla o non la curiamo, lasciando che ci sfugga. Fin troppo spesso la felicità non la vediamo proprio, non ci accorgiamo di averla.
Noi occidentali, acculturati, evoluti, iper tecnologici, esseri che si ritengono superiori, dividiamo il tempo tra piangere su quello che non abbiamo più e sperare in quello che non abbiamo ancora (e forse non avremo mai).
Siamo uomini e donne che si disperano con facilità, che di rado vedono ciò che hanno tra le mani, che spesso lo fanno cadere. Poi lo rimpiangiamo, senza ricordare che prima lo avevamo desiderato con ogni atomo del nostro essere. Dimentichiamo di osservare, di prestare attenzione e vedere che quello che vogliamo è proprio lì davanti a noi, dentro di noi.
Sono moti naturali, impartiti dalla cultura o dalla religione forse, e scrollarseli di dosso sembra quasi impossibile. I fortunati ci riescono, ogni tanto. Io mi ci impegno da anni, spesso miseramente fallisco. Altre volte no.
Qui e ora, quanto è difficile
La difficoltà di vivere qui e ora credo sia nella concentrazione, nella nostalgia e pure nella speranza.
Ci arrivano di continuo gli input più disparati (e disperati) da renderci complicato restare attenti. Tutto quello che ci lasciamo alle spalle, d’improvviso sembra diventare migliore, ma a renderlo tale è l’aver trovato un modo per superarlo. Essere ancora lì, sopravvissuti più o meno indenni a gioie e dolori. Domani sarà un giorno migliore, ce lo dicono e lo diciamo sempre, anche quando cala il sole su una giornata fantastica, domani lo sarà di più. Concentrazione, nostalgia e speranza. La combinazione che, spesso, uccide il presente.
Un’intera giornata di felicità
A pasquetta mi sono regalata un’itera giornata di felicità. Non accade quotidianamente, ma più passano gli anni e più volte riesco a farmi questi regali.
Ho camminato e respirato il presente, l’ho vissuto, goduto e ne ho fermato dei frammenti in pochi scatti. Mi sono guardata attorno a lungo e con calma, osservando con cura i dettagli, le espressioni dei visi che incontravo, ascoltando e sentendo – perché la differenza è tanta e profonda – le parole di chi era con me.
Una giornata, a zonzo per il centro di Roma – dove vado di rado per n-mila motivi –, in cui non è mancato nulla, soprattutto il mio essere presente nel presente, per me e per chi mi incrociava.
Mentre tornavo a casa, da sola in macchina, ho riflettuto a lungo (grazie traffico metropolitano).
Mi sono guardata da fuori e mi sono detta che, sì sono capace a vivere così, presente nel presente, e dovrei farlo ogni giorno. Eppure no.
Mi lascio travolgere da quello che accade – ma accade fuori e non mi dovrebbe scalfire –, i ricordi fanno il girotondo nei miei pensieri e i sogni, quelli restano là perché sono sempre un po’ troppo grandi, o almeno sembrano. Mi lascio andare a mille “stavo meglio quando…”, ma non è vero. Sto bene adesso, ora e qui.
Ho ripensato ai bambini, e così ho deciso: io imparerò da loro! Correrò, scoprirò, giocherò e inseguirò le bolle, ma solo quelle che ci sono adesso. Qui e ora.
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